Affrontare e superare l’emergenza determinata dal virus Covid-19 è una priorità per l’Italia. Ogni altra questione, per quanto rilevante, passa in secondo piano rispetto all’esigenza fondamentale di tutelare la salute della popolazione, mantenendo condizioni ambientali tali da consentirle di nutrirsi e disporre di altri beni di prima necessità fondamentali per garantire l’igiene della persona e dei luoghi abitati.
In questa situazione, nuova e inaspettata, un fatto apparentemente banale come la possibilità di accedere a beni di largo consumo assume una rilevanza decisiva nella gestione della crisi. Ed emerge in tutta la sua rilevanza il ruolo strategico fondamentale svolto dalle aziende agricole, industriali e distributive attive nelle filiere alimentare e non food. Ruolo che dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi non è mai stato valutato in tutta la sua importanza dai diversi governi che si sono succeduti alla guida del Paese, con il risultato di lasciare alla buona volontà degli imprenditori e dei manager il compito di attrezzarsi per creare valore, competere, generare efficienza ed efficacia nelle relazioni di filiera.
A questo impegno, infatti, non sono corrisposti interventi sul piano infrastrutturale fondamentali per la movimentazione delle merci, progetti organici per favorire la crescita dimensionale delle imprese, piani per sostenere nella loro attività le pmi e i pochi champions nazionali, industriali e distributivi.
Il risultato è sotto i nostri occhi. Un numero limitato di industrie gioca sui mercati internazionali ruoli di primo piano e nessuna azienda distributiva è riuscita a mettere piede all’estero, creando le premesse per una importante espansione degli sbocchi commerciali per le nostre produzioni. L’ultimo decennio non è stato particolarmente diverso dagli anni precedenti. Le istituzioni, la politica, gli opinion makers hanno focalizzato la loro attenzione su fenomeni emergenti, senza dubbio rilevanti, come l’escalation dei servizi, la difesa dell’industria pesante, il digital abbracciando il primato della finanza sull’economia. La “fabbrica” è passata in secondo piano. Quasi fosse un accessorio, un attore minore in una società e in un sistema economico in costante accelerazione verso un futuro dove il byte sarebbe contato più degli atomi.
I fatti di queste ultime settimane restituiscono pienamente alla manifattura il suo ruolo. Ci si è resi conto che i prodotti non nascono magicamente sugli scaffali dei supermercati. Che c’è un prima, una produzione, fatta di lavoratori ad alta specializzazione, manager e imprenditori. Persone abituate ai cambiamenti determinati da mercati nervosi ed ipercompetitivi che oggi vivono nella trincea della fabbrica, operando con grande attenzione e senso di responsabilità per garantire che beni primari destinati alle famiglie siano costantemente riassortiti nei punti di vendita. Un’attività fatta senza clamore, senza rivendicare ruoli o meriti, svolta in condizioni non esenti da rischi.
Quando questa dolorosa emergenza sarà finita sarà importante cogliere l’occasione per guardare in modo nuovo alla filiera del largo consumo. Per voltare pagina creando concrete condizioni per il suo rafforzamento strutturale e introducendo opportune regole che inquadrino nella giusta cornice le relazioni commerciali.
Ivo Ferrario, Direttore Comunicazione di Centromarca – Associazione Italiana dell’Industria di Marca pubblicato da “Il Riformista”, 19 marzo 2020